venerdì, Agosto 22, 2025
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Neomaggiorenni all’estero

Cari neomaggiorenni all’estero, o meglio, fuggitivi freschi di compleanno, avete appena raggiunto la maggiore età e vi siete risparmiati la cerimonia nazionale dell’«ora sei adulto, ma senza lavoro, senza casa, senza rappresentanza, senza futuro».

Qualcuno di voi c’è nato all’estero, magari da genitori che 20 anni fa hanno avuto l’idea ardita di cercare dignità altrove. Altri invece ci sono appena arrivati, con la valigia piena di sogni, bollette non pagate e raccomandazioni mai arrivate. Entrambi appartenete alla stessa categoria: gli italiani che, per vivere da cittadini, devono abbandonare la cittadinanza. Almeno quella morale.

Perché diciamolo: diventare maggiorenni in Italia è come ricevere in regalo una macchina… senza patente, senza benzina e parcheggiata in doppia fila. Ti illudono che tutto dipenda da te, poi ti spiegano che serve un garante, una firma digitale, lo SPID, un’app della Regione, tre dichiarazioni sostitutive, un esorcismo e la benedizione del Santo Patrono del click-day.

Scappare non è tradire: è sopravvivere

L’Italia, quella vera, non è quella dei monumenti, del sole, della carbonara. È quella che ti dice: «Studia che ti servirà», e poi ti fa fare il tirocinio a 500 euro con laurea e due master. È quella dove “merito” è il soprannome di Mario, il cugino del ministro. È quella dove si vota meno del 50%, ma si lamentano tutti come se avessero scritto la Costituzione.

Ecco perché voi, neomaggiorenni con passaporto tricolore e residenza in un paese che non ha l’INPS come arma di distruzione burocratica, siete degli eletti. Avete davanti un mondo che (nonostante tutto) funziona. Dove i treni arrivano, le università rispondono alle mail, i documenti si fanno online e, udite udite, i politici a volte si dimettono. Per davvero.

Ma attenzione: non per questo dovete diventare dei disertori dell’identità. Perché essere italiani, anche all’estero, è una fortuna. Basta saperla usare.

Cosa dovete sapere (e fare), adesso che siete grandi all’estero:

1. Potete votare. Fatelo.

Se siete iscritti all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero), potete votare per corrispondenza. Già questo dovrebbe spingervi a studiare la politica italiana più di chi ci vive. Perché voi, dall’estero, potete ancora fare qualcosa per cambiarla. O almeno provarci.

Info pratiche: controllate i vostri dati presso il Consolato, iscrivetevi per tempo e non perdete le scadenze. Qui non si accettano «non sapevo» come scusa.

2. Mantenete (o riprendete) i vostri documenti

Carta d’identità, passaporto italiano, codice fiscale: servono anche all’estero. E vi salvano in mille situazioni, anche per doppie cittadinanze o vantaggi universitari/lavorativi. Lo SPID si può ottenere anche fuori dall’Italia, con un po’ di pazienza e un riconoscimento in video. Funziona? Diciamo che almeno è legale.

3. Sfruttate le università estere

Pagare 2000€ l’anno per una laurea in Olanda o 0€ in Germania non è eresia: è intelligenza. E magari potete tornarvene con due lingue in più, un curriculum spendibile e senza aver dovuto vendere un rene per un affitto a Milano.

4. Lavorare fuori, pagare le tasse (bene)

Lavorare all’estero vuol dire entrare in un sistema che (nella maggior parte dei casi) ti considera un cittadino e non un bersaglio. Ma attenti al fisco: se passate più di 183 giorni all’estero, dovete iscrivervi all’AIRE ed evitare il rischio di essere tassati due volte.

5. Non perdete l’Italia. Ma miglioratela

Non siate quei disgraziati che parlano male dell’Italia al primo brunch domenicale a Berlino, e poi guardano Sanremo con le lacrime agli occhi. L’identità è un ponte, non una prigione. Criticate l’Italia, sì. Ma come si critica una madre testarda: per farla crescere, non per rinnegarla.


A 18 anni all’estero, siete ambasciatori. Dell’Italia che potrebbe essere e non è ancora. Dell’Italia che può imparare, migliorare, cambiare. Il vostro compito — che vi piaccia o no — è doppio: vivere bene dove siete, e ricordare agli italiani rimasti che si può vivere meglio anche altrove.

Non serve tornare con la valigia di cartone, ma con la testa piena e il cuore acceso. Perché essere italiani fuori dall’Italia non è una fuga. È una missione.

Benvenuti tra i grandi. E già che ci siete, fatevi sentire.

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