Né Monaco, né Amburgo. Tantomeno Berlino. Sono due le città tedesche tra le dieci più vivibili in Europa, ma per trovarle bisogna dirigersi a Nord Est. Le circa 70.000 persone recentemente interpellate dalla Commissione Europea hanno indicato Lipsia e Rostock (rispettivamente con il 95% e il 94% di preferenze) tra i migliori posti in cui vivere nel Vecchio Continente. Ma quanti italiani possono realmente confermarlo da residenti, se per l’80% popolano Baviera e Nordrhein Westfalen e l’hinterland berlinese?
Il resto della comunità dei nostri connazionali nella circoscrizione consolare di Berlino è dislocato su un territorio assai vasto che comprende Berlino, Sassonia, Sassonia-Anhalt, Brandenburgo e Turingia. Una densità relativa, ma presente e attiva più che mai.
E proprio nel Sachsen, alla confluenza di tre fiumi, sospesa come in un saggio hegeliano, tra modernità e forza evocativa del passato, eccola Lipsia, rifiorita all’ombra dell’imponente sagoma della Thomaskirche: un po’ chiesa di Bach e un po’ casa di Mendelssohn. C’è il locale preferito di Schumann e il Monumento alla Battaglia delle Nazioni. Grazia e disincanto, in una città che ambisce all’avanguardia senza essere snob. Già culla della letteratura e della musica, ha accidentalmente annoverato tra i suoi abitanti anche Goethe e Wagner.
E la qualità della vita qui declama, canta e suona in tedesco.
<<E’ sempre difficile paragonare questa con realtà molto più grandi, ma il dato espresso dal sondaggio non mi sorprende più di tanto. Lo standard dei servizi è sempre stato elevatissimo e l’appeal è salito in modo vertiginoso perché in tanti hanno verificato personalmente l’efficienza di una rete di trasporti tra le più estese ed evolute, in aggiunta a questa pulsione culturale che si respira nell’aria e fa di Lipsia un vero e proprio gioiello. Tempo fa un articolo del “New York Times” fece riferimento alla “Nuova Berlino”: un accostamento particolarmente appropriato>>. A parlare è Stefania Abbondi, bolzanina trapiantata a Lipsia. La sua storia sfugge agli stereotipi più inflazionati dell’italiano in Germania. Niente Verdone, kein Gastarbeiter, nessuna pizza con ananas, zero rimpianti. Stefania racconta la sua vita dedicata alla passione per le Arti e alle iniziative solidali con la pacatezza tipica di chi conosce il senso della condivisione. Una donna ispirata da scelte consapevoli, che per anni ha lavorato nella direzione artistica della “Oper Leipzig” ed è ora responsabile del Fundraising nella divisione marketing del teatro. Non solo. Perché Stefania riesce anche ad essere (non necessariamente in quest’ordine) soprano, istruttrice di salsa (gestendo il franchise “kangurusalsa.com“, che consente a future e neo-mamme di ballare latino americano con bimbi in fascia o ancora in grembo) e ideatrice della start up “mamagrow.de“, che aiuta madri con figli di ogni età mettendole in contatto con esperti dei più svariati campi per aiutarle nelle problematiche quotidiane. Il suo motto è “Let’s grow Mama!”.
Crescita, sì. E quasi una premonizione. Quando e perché ha pensato di trasferirsi in Germania?
<<Dopo il master in Bocconi ho avuto l’opportunità di venire a Lipsia per un praticantato potendo lavorare dapprima per tre, poi per cinque mesi. Una sorta di miracolo mi consentì di esprimermi come soprano membro dell’ensemble, in Italia avrei certamente potuto esercitare solo in qualità di freelance. Da due anni sono stata incaricata a tempo indeterminato ed eccomi qui: da allora in totale ne sono trascorsi dodici>>.
Da noi sarebbe stato impensabile?
<<E’ difficile affermarlo con certezza, ma una carriera teatrale così repentina faccio fatica ad immaginarla senza questa svolta. Ho avuto un pizzico di fortuna, certo, ma ero talmente motivata che magari sarei riuscita anche senza espatriare. Il problema sarebbe eventualmente stabilire con quali tempistiche…Ricordo quando la responsabile del teatro mi disse: <<Ti assumiamo, a patto che tu ci garantisca anche di cantare>>. Non lo avevo mai fatto in quel teatro, per me non era un problema ma non volevo sovrapporre le attività manageriale e quella da cantante. Ero abituata al retaggio italiano che avrebbe reso tutto ciò semplicemente inconciliabile>>.
Le differenze, i condizionamenti. E i paragoni.
<<Ho sempre mantenuto contatti ed interscambi con l’Italia, perché ho curato l’attività di cooperazione internazionale per diversi teatri come “La Fenice” di Venezia, con quelli di Trieste e Bolzano e so bene che per gli artisti la strada è spesso costellata di problemi. Qui vedo spazi da riempire e trovo terreno fertile per lanciare tanti progetti, le idee proliferano e viaggiano veloci>>.
Con Lipsia è stato amore a prima vista?
<<Non proprio, l’impatto è stato piuttosto scioccante. Trovai il classico non-luogo della ex Ddr distrutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, in cui praticamente c’era soltanto il centro. Non ai livelli di Dresda ma – pensandoci adesso – era la dimensione alquanto spettrale in una città con poche attrattive>>.
Eine Katastrophe!
<<Più o meno. Ma poi lo scenario è mutato: gli edifici sono stati ricostruiti gradualmente, è cambiata la morfologia insieme al tessuto sociale. In questi ultimi cinque o sei anni ho potuto notare un salto di qualità impressionante: Lipsia si è ripopolata e adesso conta quasi 700.000 abitanti. Sono arrivati moltissimi studenti e si sono moltiplicati gli eventi in ogni ambito. Oggi Lipsia è una città multietnica che ha completato il suo percorso di sviluppo ma riesce a rilanciarsi continuamente proponendo un’offerta culturale di alto livello. Purtroppo è aumentato anche il traffico e anche per questo abbiamo deciso di trasferirci qualche chilometro fuori…>>.
Considerazione molto italiana. A proposito, quanti siete da quelle parti?
<<Non c’è una rappresentanza molto nutrita ma sicuramente eterogenea e qualificata. La maggior parte dei connazionali arriva con competenze definite senza l’atteggiamento di chi cerca di sbarcare il lunario purché sia e soprattutto con un livello di expertise già ben delineato. Nella ricerca universitaria e nel settore artistico e musicale se ne possono trovare diversi>>.
Lingua, clima, alimentazione. Altri luoghi comuni dell’expat italiano che non ce l’ha fatta?
<<E’ difficile pensare di inserirsi senza sapere il tedesco: rispetto a prima la situazione è migliorata ma tuttora non sono in tanti a parlare inglese. Quello linguistico è un ostacolo che può rallentare non poco il processo di integrazione. Ciascuno ha un concetto molto personale di abitudine e le difficoltà iniziali vanno necessariamente contemplate. In questi anni ho avuto modo di supportare diversi ragazzi italiani arrivati per il Programma Erasmus e posso solo dire che a far la differenza è sempre la motivazione: io ero animata da questo spirito di realizzare quel che avevo in mente e fin dal primo periodo ero assolutamente convinta di rimanere. Non mi sbagliavo>>.
Nessuna nostalgia, dunque. Non fosse arrivata da Bolzano sarebbe stato più difficile il radicamento?
<<Mio marito è italiano ma l’ho conosciuto a Lipsia. Qui è nato mio figlio e sono rinata io, scoprendo orizzonti professionali e personali che nelle mie condizioni sono pressoché infiniti: vivo in una città permeata da un crescente fervore culturale. Frequento luoghi con tanto verde, in bicicletta si arriva dappertutto e i prezzi sono ragionevoli rispetto ad altre località più gettonate della Germania>>.
Deducendo, non sembra un’opzione quella di tornare…
<<In Italia torniamo piuttosto frequentemente, quando gli impegni di lavoro ce lo consentono. Sono altoatesina ma il mio sangue è in parte anche meridionale e quell’impronta è permanente. Con il passar del tempo è naturale sentire la mancanza della famiglia, anche se qui ho tutto ciò che mi serve per star bene>>.